L’Arte dell’Empowerment

Nelle moderne organizzazioni il concetto di leadership è in fase di ridefinizione grazie al nuovo ruolo rivestito dalla collaborazione e dai collaboratori.

Il compito primario riconosciuto al leader è quello di avere la capacità di tollerare le ambiguità. Ancor più importante è saper riconoscere e anticipare gli eventi devianti che potrebbero modificare la situazione organizzativa.

“Piccole ma ben focalizzate azioni
possono a volte produrre
significativi e stabili cambiamenti
se sono applicate nel posto giusto” (P. Senge)
Per assicurare il successo dell’organizzazione i leader e i collaboratori devono avere chiaro in mente la propria missione e quella dell’organizzazione e devono sapere imparare a valorizzare se stessi.

Oggi i leader devono:

• trasferire la responsabilità del lavoro a coloro che lo svolgono, imparando a dare valore al loro ruolo;
• creare le condizioni per la responsabilizzazione, trasformando le loro illusioni in sogni;
• insegnare come sviluppare le capacità personali, attraverso l’esempio;
• apprendere rapidamente e incoraggiare gli altri a rincorrere il cambiamento e non ad aspettare che accada.

I collaboratori non sono più dei semplici seguaci della visione e dei valori del leader ma partecipano in prima persona alla creazione e al rinforzo di tali valori. Infatti, sono gli stessi collaboratori a definire le caratteristiche indispensabili per un leader:

• onestà intellettuale;
• lungimiranza;
• capacità di ispirare;
• competenza.

In una sola parola: CREDIBILITA’.

La competenza di leadership si trasforma in stewardship, ossia spirito di sevizio.
La stewardship diviene una scelta consapevole di servizio nei confronti dell’organizzazione per cui si lavora e richiede alle singole persone di divenire responsabili del proprio ruolo.

Il coaching e il counseling


“Non puoi insegnare qualcosa a un uomo:


 puoi solo aiutarlo a scoprirlo dentro di sé” (Galileo).


 


 


Accanto alle competenze più tecniche legate al “sapere” e “saper fare”, oggi la formazione del manager non può prescindere dal suo “saper essere”, inteso come sviluppo di specifiche abilità e competenze che risultano intrinsecamente legate al suo ruolo, per cui le capacità e attitudini personali rivestono un’importanza equivalente alla preparazione tecnica.


Comunicazione interpersonale efficace, automotivazione, negoziazione, costituiscono parte integrante del bagaglio di chi debba gestire delle risorse, di chi voglia coinvolgere, motivare e trasmettere ai propri collaboratori il senso dei valori e degli obiettivi aziendali.


Aumentare la conoscenza di sé, dei propri punti di forza ma anche delle proprie aree di miglioramento, diventa il punto di partenza per organizzare in modo efficace il proprio lavoro, per analizzare e migliorare il rapporto con il proprio team, imparando a riconoscerne le esigenze, a valorizzarne le capacità, e a creare sempre nuovi stimoli, innescando così un percorso di crescita che è allo stesso tempo, personale, del proprio gruppo e dell’azienda.


 


Il Coaching:


E’ dalla metà degli anni ’80 che si discute del coaching  nell’ambito della formazione, ma ancora oggi non si è arrivati ad un univocità di definizione tra le diverse scuole di pensiero.


Quello che interessa nel nostro percorso di coaching non è tanto trovare un definizione assoluta, ma quella idonea e funzionale per l’azienda utilizzando come modello di riferimento quello dell’analisi transazionale e della programmazione neurolinguistica con l’apporto di altri approcci psicologici.


L’elemento valoriale dell’attività del coaching consiste nell’applicazione di un modello  che permetta il confronto e la verificabilità dei risultati.


Un metodo di analisi dei casi, permettendo la condivisione e la verifica dei risultati ottenuti, rende possibile, sia all’operatore che all’utente, disporre di un elemento di protezione attraverso l’acquisizione di un linguaggio comune di lettura della situazione problematica.


Chi sono il coach e il coachee.


Secondo Wolfgang Loss il coach è un “consulente individuale che opera sulla persona con i dirigenti e che cerca di rispondere alla domanda: in che modo questa persona svolge il suo ruolo di manager?”, mentre “Il coachee è chi impara, scopre, interpreta qualcosa di importante”.


Loss aggiunge anche che il coaching può aumentare la performance, l’acquisizione di nuove capacità, l’analisi di esperienze fatte, la liberazione delle emozioni, la comune riflessione, l’elaborazione dei conflitti, la sperimentazione di nuovi comportamenti, la preparazione delle decisioni personali.


Il coaching descrive quindi una realtà relazionale di tipo particolare per un individuo o un gruppo di persone in un certo qual modo delimitabile con una altrettanto circoscrivibile tematica.


Per ETLINE tutto questo diventa fondamentale di fronte ad una richiesta che può presentare numerose problematicità e dove la risposta deve essere adeguata alle necessità dell’azienda, e deve rispettare valori e bisogni della persona, unici elementi motivanti in un processo di cambiamento, inteso come opportunità e non come crisi.


 


Il Counseling:


Nel corso della vostra vita forse vi sarà accaduto di trovarvi in una situazione problematica e di cambiamento. Magari, dopo averci riflettuto, valutato opzioni ed alternative, e cercato soluzioni senza successo, avrete incominciato
ad avvertire la spiacevole sensazione di imbattervi in una sorta di scatola chiusa.
Per evitare che questa sensazione muti in impotenza,  trasformando il mondo attorno, in azienda come nella vita, in  un inferno, la soluzione è un intervento di counseling.
Il counselor non è un teorico, non punta a curare in generale, ma a risolvere un problema specifico alla volta programmando il suo intervento con il cliente (e non il paziente) che si rivolge a lui nei momenti di bisogno.


Il counseling è un insieme di abilità, atteggiamenti e tecniche orientate ad aiutare e supportare una persona nel prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale.


La figura del counselor nasce negli Stati Uniti a metà degli anni 50’ per espandersi poi in Europa, soprattutto nel Regno Unito, negli anni 70’.  Si deve a Carl Rogers, psicoterapista di coppia e della famiglia, la caratterizzazione del counseling così come lo intendiamo oggi, cioè concentrato sul cliente, sulla qualità del rapporto umano con lo stesso, prima ancora che sul suo problema.  


Rogers scrive: “Il rapporto di counseling è una situazione in cui calore umano, accettazione obiettiva e assenza di ogni coercizione o pressione personale da parte del counselor, permette l’espressione più libera di sentimenti, comportamento e problemi da parte del cliente. In questa particolare esperienza di completa libertà emotiva, strutturata entro limiti precisi, l’individuo è libero di riconoscere e capire i suoi impulsi e le sue strutture comportamentali, positive e negative, come in nessun altro rapporto esistente.”


 Ora, anche nelle aziende italiane, ci si sta abituando all’idea di poter ricorrere a nuove figure di riferimento per affrontare disagi o momenti di difficoltà e stress, dove la figura professionale dello psicoterapeuta, oltre che ridondante rispetto al problema, può essere addirittura di impaccio alla risoluzione dello stesso.


Il counseling non si limita a superare situazioni critiche o a recuperare le risorse apparentemente perdute da un individuo, ma sviluppa e approfondisce le abilità necessarie per dare vita a nuove e durevoli modalità comportamentali accantonando vecchie e improduttive abitudini.


Lo sviluppo delle potenzialità individuali di una persona ed il miglioramento delle sue prestazioni relazionali, è oggi una delle applicazioni di counseling maggiormente richieste, sia da aziende che da singole persone. Cambiare abitudini e comportamenti più o meno radicati richiede prontezza di spirito e consapevolezza.


Affinché un cambiamento sia durevole e a lungo termine, occorre costruire un ponte che crei unità tra la conoscenza dei principi che vengono appresi e la loro applicazione pratica.


Quindi il counseling è una forma di Cambiamento Spontaneo, una naturale evoluzione di crescita.


 


 


Barbara Demi


Partner ETLINE e Associati


 


 


Atti del Convegno “HR Innovation Report 2003. Competition in the war for talent era ” (www.ateneoeazienda.it) del 12 Marzo, organizzato da Cesop.


 


 

Usare il linguaggio per potenziarese stessi

“C’era una volta una gara di ranocchi. L’obiettivo era arrivare in cima a una gran torre. Si radunò molta gente per vedere e fare il tifo per loro.
Cominciò la gara.
In realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi potessero raggiungere la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo: “Che pena!!” e “Non ce la faranno mai!…”
I ranocchi cominciarono a desistere, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima.
La gente continuava: “Che pena!!” e Non ce la faranno mai!…”
E i ranocchi si stavano dando per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere. Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, raggiunse la cima.
Gli altri vollero sapere come avesse fatto. Uno degli altri ranocchi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere la prova. E scoprirono che…era sordo!”

Parabola zen

Il seminario è stata l’occasione per conoscere meglio quelle che la PNL chiama credenze limitanti. La parabola sopra riportata rende al meglio l’importanza che il sistema di credenze riveste nella nostra vita per determinare il raggiungimento o meno dei nostri obiettivi. Dilts definisce le credenze “il più potente sistema di condizionamento”, e noi aggiungiamo anche di controllo del nostro comportamento. Esse influenzano il comportamento prima che lo mettiamo in atto, incoraggiando o bloccando l’azione sul nascere. Stanno alla base di tutte le nostre scelte. Decidiamo di bere un bicchiere d’acqua perché abbiamo la convinzione che ci disseti, o decidiamo di stare lontani dal fuoco perché siamo convinte che ci scotteremo. Dagli esempi appena citati emerge il valore positivo delle credenze. Esse infatti costituisco il sistema di regole e informazioni che ci consente di orientarci nel mondo con una mappa di riferimento. Il problema si pone quando le nostre credenze non funzionano come facilitatori interni ma come delle zavorre che ci bloccano o che limitano la nostra mappa di navigazione nella realtà. Pensate a quante volte rinunciamo a fare qualcosa perché a priori ci siamo convinti che non abbiamo le abilità per raggiungere il nostro scopo, a quante volte evitiamo di confrontarci con alcune persone perché a priori ci siamo convinti che non sono valide. L’elenco potrebbe continuare all’infinito.Non dobbiamo sottovalutare l’incidenza che hanno nella nostra vita
Il potere che esercitano su di noi dipende dal grado di profondità che raggiungono. Facciamo una esperienza, la generalizziamo, ricerchiamo dati ed esperienze che la confermino, distorciamo i dati e le esperienze che la confutano ed ecco che una semplice opinione si trasforma in credenza e poi in convinzione. A questo punto è talmente radicata nella nostra struttura profonda che contestarla significa mettere in discussione la nostra stessa identità.
Il guaio è che quando adottiamo una credenza dimentichiamo che è solo una nostra interpretazione ed iniziamo a trattarla come vangelo.
Il nostro linguaggio inizia a costruire generalizzazioni di questo tipo: “tanto non lo raggiungerò mai”, “fa carriera solo chi è aiutato e spinto”, “se sbaglio vuol dire che quello che sto facendo non è nelle mie possibilità”, “va tutto allo stesso modo”, “non ho mai concluso niente di buono nella vita”, “non è possibile”, “gli altri non mi capiscono mai” e così via. Le credenze diventano delle gabbie al nostro agire. Recenti studi hanno poi messo in luce la stretta connessione tra immaginare e credere un’azione e la sua realizzazione.
Due esempi su tutti:

– Prima del 1954 si riteneva che fosse impossibile per un uomo correre il miglio in meno di quattro minuti. In quel anno, Roger Bannister, riuscì nell’impresa abbattendo contemporaneamente un record e una delle credenze più radicate dell’epoca. La cosa più straordinaria è che nel giro di un anno altri trentasette atleti riuscirono nell’impresa.
– Parliamo del famoso effetto placebo dei medicinali. Vennero scelti due gruppi di pazienti malati di ulcera. Ad un gruppo fu detto che gli avrebbero somministrato un nuovo e potente medicinale che avrebbe causato subito sollievo e miglioramento delle condizioni; al secondo gruppo fu detto che avrebbero ricevuto un medicinale in sperimentazione del quale non conoscevano gli effetti. Ad entrambi, in realtà, fu dato un pillola a base di zucchero. L’esito della somministrazione fu stupefacente: il 72% del primo gruppo dichiarò di stare subito meglio, il 78% del secondo gruppo dichiarò non solo di non migliorare ma addirittura di accusare peggioramenti.

Il sistema delle credenze crea una potentissima rete di aspettative in grado di far compiere imprese o modificare la percezione corporea delle sensazioni interne ed esterne.
Il seminario è stato l’occasione per riflettere sul proprio sistema di convinzioni e per vivere un percorso di cambiamento da una propria credenza limitante ad una potenziante. Attraverso varie tappe ognuno ha avuto la possibilità di portare in primo piano (consapevolezza) una propria credenza, di osservarla (analisi), di formularne una nuova potenziante (cambiamento) e di investirla di sensazioni positive (ancoraggio).

Angelo Dossena
Consulente ETLINE e Associati

Dal linguaggio che ci limita alle parole che ci liberano

Se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero
George Orwell

Le scelte sono desiderabili e molteplici. Maggiori scelte abbiamo, maggiori saranno le possibilità di successo.

Esistono tante possibilità di scelta quanti sono i punti di vista, quindi quante più prospettive acquisiamo, tanto più ci renderemo flessibili di fronte ad esperienze sempre mutevoli. Imparare più risposte ad un evento ci permette di modificare a volontà la nostra comunicazione, cosa assai più facile che tentare di cambiare l’evento per adattarlo all’unico comportamento che siamo in grado di attuare.

Modificare come sperimentiamo la realtà è spesso più utile che cambiare il contenuto della nostra esperienza.
Conoscere le regole del gioco non significa saper giocare!

Una riunione, un incontro con un cliente, una discussione con i colleghi, una conversazione con il proprio capo sono un insieme di atti comunicativi non sempre soddisfacenti; quando noi comunichiamo con gli altri abbiamo una visione soggettiva della realtà, infatti come afferma la programmazione neurolinguistica quando noi ci formiamo una mappa seguiamo dei passaggi in cui il nostro linguaggio è influenzato dalle nostre esperienze significative:
Una persona che nella vita ha avuto una esperienza in cui è stata abbandonata può generalizzare pensando che nessuno le vuole bene, cancellare tutti i messaggi futuri di affetto e distorcere pensando che siano falsi o di non esserne degna, fino a quando ciò non diventa una credenza e poi una convinzione radicata.

I MODELLATORI UNIVERSALI DEL LINGUAGGIO:

1. GENERALIZZIAMO

La generalizzazione è un meccanismo attraverso il quale una specifica esperienza giunge a rappresentare l’intera categoria alla quale appartiene

Può essere individuata attraverso:

– Quantificatori universali
– Operatori modali di necessità
– Operatori modali di possibilità

QUANTIFICATORI UNIVERSALI:

Parole che implicano o dichiarano una condizione assoluta circa la percezione della realtà; non hanno indice referenziale:

TUTTI, CIASCUNO, QUALCUNO, OGNUNO, SEMPRE, MAI-NESSUNO, NIENTE, OGNI VOLTA.

ESEMPI

– Tutto è difficile
– Nessuno mi ascolta
– La gente è cattiva
– Non capisco niente
– Nessuno mi vuole bene
– Gli altri non capiscono
– Tutti i venditori sono ladri

Le generalizzazioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso le domande:

Vuoi dire che…………..?
Puoi ricordarti di una volta in cui……?

OPERATORI MODALI DI NECESSITA’

Riguardano i bisogni e necessità e sono indicati dall’uso di parole come:

DEVO, NON DEVO, DOVREI.

ESEMPI:

– Devi credermi
– Non dovrei bere birra
– Dovrei telefonargli più spesso

Le generalizzazioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso le domande:

Che cosa ti accadrebbe se………..?
Quali conseguenze reali o immaginarie sono attribuite al mancato rispetto di queste regole?

OPERATORI MODALI DI POSSIBILITA’

Permettono di individuare nell’interlocutore ciò che è considerato possibile cercando di recuperare gli eventi che impediscono qualcosa

Li possiamo individuare attraverso espressioni del tipo:

NON POSSO, NON RIESCO, E’IMPOSSIBILE, NON ME LA SENTO.

ESEMPI:

– Non mi posso rifiutare
– Non riesco a dimagrire
– Quello che vuoi è impossibile

Le generalizzazioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso la domanda:

Cosa ti impedisce di……..?

2. CANCELLIAMO (SELEZIONIAMO)

La cancellazione è un procedimento con cui selettivamente prestiamo attenzione a certe dimensioni delle nostre esperienze e ne escludiamo altre.
Può essere individuata attraverso:

– Nomi/Verbi non specifici
– Paragone
– Giudizio

NOME/VERBI NON SPECIFICI

Il nome sembra non mancare ma è così generico da rappresentare solo un’ apparenza
Il verbo definisce un’azione e viene specificato attraverso complementi

ESEMPI:

– L’obiettivo è professionalizzarsi
– Loro sono i responsabili

Le cancellazioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso le domande:

Come specificatamente…?
Chi o cosa specificatamente…..?

PARAGONE

In una comparazione è cancellato il secondo termine di paragone o quando in un superlativo non è dichiarato l’insieme da cui lo si estrae.
ESEMPI:

– Ho gestito male questa trattativa
– La divisione prodotti va meglio
– Parigi la miglior vacanza
– Quello è il meno difficile

Le cancellazioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso la domanda:

Rispetto a chi/a che cosa esattamente?

GIUDIZIO

Potrebbe trattarsi di un giudizio che l’interlocutore si porta dietro da qualche esperienza non ben specificata, può essere nascosto dietro avverbi che terminano in "mente".

ESEMPI

– Evidentemente è giusto
– E’ una persona antipatica
– I giovani sono maleducati

Le cancellazioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso la domanda:

Chi dice………?

3. DISTORCIAMO

La distorsione è un processo attraverso cui apportiamo dei mutamenti alla nostra esperienza dei dati sensoriali.

Le distorsioni vengono suddivise in:

– Lettura del pensiero
– Presupposizione
– Causa effetto

LETTURA DEL PENSIERO

La persona pretende, senza evidenti dati che lo comprovino, di sapere cosa un’altra persona pensa o prova.

ESEMPI:

– Maurizio è preoccupato
– So cosa lo fa arrabbiare
– Dovresti sapere che mi piace
– Tu sai cosa voglio dire
– I nostri clienti non comprerebbero mai questo

Le distorsioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso la domanda:

Come sai che………..?

PRESUPPOSIZIONE

La presupposizione diventa tale quando non è dimostrato il presupposto.
La possiamo individuare attraverso enunciati come:

DA QUANDO, SE-TI RENDI CONTO, PERCHE’.

ESEMPI:

– Quando ti sentirai meglio capirai
– Perché non sei più interessato a questo
– Non vorrei falliste come al solito l’obiettivo
– Sei lento come il tuo amico

Le distorsioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso la domanda:

Cosa ti porta a credere che…….?

CAUSA-EFFETTO

La distorsione causa-effetto appare spesso nelle frasi di chi pensa che l’azione di qualcun altro possa fargli provare dei sentimenti o limitarlo nei comportamenti

ESEMPI:

– Tu mi turbi
– Il colore giallo rende allegri
– Cambiare linea marketing ci farà perdere quote di mercato

Le distorsioni di questo tipo possono essere riformulate attraverso la domanda:

Come esattamente ciò causa quello?

Obiettivo del seminario è quello di avere più opzioni possibili di scelta per non limitare il nostro linguaggio. Generalizzazioni, cancellazioni e distorsioni possono essere liberate da domande specifiche che ci permettono di allargare la nostra mappa e rendere la comunicazione più efficace.

Flavia Bettini
Consulente ETLINE e Associati

Tecniche strategiche per il problem solving aziendale

Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare
per risolvere i problemi causati
dal vecchio modo di pensare
Albert Einstein

L’obiettivo di questo seminario è una prima conoscenza teorico-pratica dell’approccio strategico in azienda.
L’orientamento agli obiettivi e l’utilizzo delle risorse più efficaci ed efficienti a disposizione sono tra i principi fondamentali che guidano questo approccio alla risoluzione dei problemi umani, anche aziendali.
Durante il seminario, dopo una breve introduzione teorica, sarà possibile sperimentare, con casi aziendali reali presentati dai partecipanti, alcune tecniche strategiche fondamentali come la “fantasia del miracolo”, il “come se”, il “come peggiorare”, la “tecnica dello scalatore” e le “domande discriminanti”.

“Strategia in azienda”
Tecniche strategiche per il problem solving aziendale

Orientamento agli obiettivi ed utilizzo delle risorse più efficaci ed efficienti a disposizione sono i due principi che guidano l’approccio strategico nella risoluzione dei problemi umani, soprattutto in ambito aziendale.
Il primo colloquio tra il consulente e il committente diventa già un’opera di diagnosi-intervento in azienda per cui il primo incontro è già un passo verso la risoluzione del problema.
L’utilizzo di “domande discriminanti con alternative precostituite” e la “tecnica del feedback” permettono di giungere rapidamente all’individuazione del problema con indicazioni forti per la sua risoluzione.
La “tecnica dello scalatore” permette di identificare lo scenario finale a cui si vuole giungere ed i primi passi da compiere verso il cambiamento grazie al frazionamento degli obiettivi.
Il “come peggiorare” ed altre tecniche di intervento paradossali permettono di risolvere situazioni difficili con piccoli interventi che determinano grandi cambiamenti.
Le tecniche della “fantasia del miracolo”, del “come se” e di altri stratagemmi stimolano l’azienda ad aprirsi a scenari futuri che possono diventare profezie positive che si autorealizzano nel tempo.
In questi contesto di consulenza aziendale non contano solo le manovre e gli stratagemmi “cuciti” sul cliente: la comunicazione e la relazione risultano fondamentali. Le fondamentali tecniche per creare situazioni di empatia o di rottura del rapport permettono di rendere più efficace il proprio bagaglio di strategie e tattiche.
L’approccio strategico permette dunque di acquisire: a) una visione strategica del problema e del contesto; b) una serie di tecniche-tattiche da utilizzarsi nei contesti problematici aziendali; c) indicazioni pratico-operative per affrontare concreti casi aziendali.

Gianluca Castelnuovo:
E’ consulente ETLINE e Associati nell’area della formazione. Psicologo e Master Practitioner in P.N.L., attualmente insegna presso l’Università Cattolica di Milano e collabora con le Università Statale e Bicocca di Milano. Inoltre collabora con il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, sede italiana del Mental Research Institute di Palo Alto (California-USA).

Il conflitto e la negoziazione

Sei cappelli per pensare e negoziare

Il metodo dei sei cappelli per pensare, ideato da Edward De Bono , è estremamente semplice da utilizzare nelle riunioni creative, e al vantaggio di  portare a risultati concreti. La cosa interessante è che per la sua praticità può essere accostato alle teorie negoziali e al modello dell’analisi transazionale per fornire un metodo utile di riflessione per la preparazione negoziale.

L’obiettivo di questo abstract non è quello di ripercorrere tutti gli aspetti teorici sul metodo originale (cfr Sei cappelli per pensare, Edward de Bono, …) ma  quello
di invitarvi ad utilizzare il metodo nella sua concretezza. Per questo motivo provate a pensare ad un problema che vorreste risolvere ed una volta individuato, rispondete attentamente a tutte le domande che trovate.  Buon lavoro!

IL CAPPELLO BIANCO: LE INFORMAZIONI

Pensate al colore bianco come simbolo di un foglio ancora non scritto, l’obiettivo di questo cappello è individuare tutto ciò che fino a questo momento vi è noto, e se vi rendete conto che siete all’oscuro di alcuni aspetti è il momento di recuperarli.

Quali informazioni abbiamo a disposizione?

Separate la persona dal problema identificando bene i termini problematici?

IL CAPPELLO ROSSO: LE EMOZIONI

Il rosso è il colore dei sentimenti, delle emozioni. In analisi transazionale è il mondo del bambino per cui in questo cappello bisogna dare voce  alla naturalità emozionale senza inibizioni o costrizioni genitoriali.

Quali emozioni provo e quali bisogni ho?

Quali emozioni e  bisogni ha l’altra persona coinvolta?

Come posso creare il legame ?

IL CAPPELLO NERO: LA CAUTELA

Il nero ci ricorda il colore delle toghe dei tribunali, e quindi il genitore normativo, pronto a dare valutazioni. In questo cappello appaiono le norme, le regole,
il giudizio critico, ma in modo funzionale al raggiungimento dell’obiettivo e non a boicottare il risultato.

Perché non può funzionare?

IL CAPPELLO GIALLO: L’OTTIMISMO LOGICO

Il giallo è il colore della solarità, dell’ottimismo della visione logica e positiva delle cose. Indossare questo cappello ci ricorda qual è il nostro obiettivo concreto  e perché lo stiamo desiderando. E’ il trionfo dell’adulto.

Quali sono gli obiettivi?

Quali sono i dati di realtà?

Qual è il vantaggio reciproco?

IL CAPPELLO VERDE: LA CREATIVITÀ

Il colore verde è simbolo delle idee nuove e delle opzioni possibili, indossare questo cappello
stimola il bambino libero ad un sano momento di creatività.

Quali sono le opzioni e le alternative?

Quali sono i nuovi obiettivi?

IL CAPPELLO BLU: IL METAPENSIERO

Il cappello blu ci aiuta a vedere la situazione dall’alto, come fossimo al di fuori della situazione pensando al modo in cui stiamo pensando. Osservare se nel nostro modo di pensare ci sono distorsioni, cancellazioni o soppressioni (i modellatori universali della PNL) e se quindi il nostro pensiero è viziato e limitato. E’ il momento in cui l’adulto potrebbe contaminato dal genitore o dal bambino.

Come sta andando il processo?

Come riassumere, come concludere, e fare il contratto?

E adesso? Indossato anche il cappello blu, se è necessario, ritornate agli altri cappelli fino a che il vostro problema e l’obiettivo non è chiaro, solo allora l’azione potrà prendere vita ed essere produttiva e sana.

Barbara Demi, Analista Transazionale e Partner ETLINE e Associati

Shakespeare e il management: stili di leadership

La relazione fra molti personaggi shakesperiani e il management odierno sono stupefacenti. Attraverso molte delle opere di Shakespeare possiamo ritrovare descrizioni di Leader in ascesa, in caduta, impegnati nella lotta per conquistare o mantenere il potere. Questi leader incorrono, come molti manager contemporanei, nell’errore di credere che la loro leadership sia legata in modo indissolubile alla loro persona. Io ho analizzato in particolare il nascere e il consolidarsi della leadership del Giulio Cesare.
Nel Giulio Cesare Shakespeare usa l’arte oratoria nelle situazioni chiave. Tutti i personaggi hanno uno spazio di azione pubblica. Il loro destino è legato all’organizzazione dello stato. Tutti devono gestire e persuadere il loro pubblico da leader.
Le azioni sono dunque azioni linguistiche volte alla persuasione e la determinazione della leadership dei personaggi è intimamente legata ad essa. Il pubblico è il materiale da cui si parte nella costruzione delle argomentazioni. I leader dipendono dal favore del pubblico. Il miglior oratore sarà il leader che prevarrà.
Il valore della presentazione delle argomentazioni e del come il leader dice le cose è fondamentale.
Tutti i personaggi cercano di imporre un certo contratto con il pubblico tramite la persuasione e tutti sono alla ricerca del potere.
Le azioni sono all’interno di una finzione cioè di una costruzione del discorso. La retorica è la strategia (ad esempio Bruto e Cassio costruiscono la scena con una congiura spettacolare e ben costruita).
La tecnica retorica utilizzata da alcuni personaggi del Giulio Cesare è data dalla costruzione delle argomentazioni in modo che il pubblico reagisca come se stesse seguendo un copione.

La perdita della leadership è connessa alla loro incapacità di parlare in pubblico. Possiamo sintetizzare lo schema delle azioni in cui la retorica è utilizzata come strategia:

1 I tribuni persuadono il popolo a non celebrare i trionfi di Cesare
2 Antonio cerca di persuadere il popolo di incoronare Cesare imperatore
3 Cesare convince il popolo di non volerlo (perché crede che non sia pronto all’impero)
4 Cesare viene assassinato
5 Bruto persuade il popolo che l’omicidio di Cesare è stato un atto per conservare la Repubblica
6 Antonio persuade il popolo dell’onesta’ di Cesare e sottolinea la crudelta’ dei congiurati
7 Il popolo inneggia Antonio
8 E’ nato un nuovo leader

Viaggiare con i cinque sensi

Come potenziare l’ascolto

Comunicare ed ascoltare sono esperienze che coinvolgono tutti i cinque sensi con i quali entriamo in contatto con il mondo e ci orientiamo in esso. Vista, udito, gusto, tatto e olfatto agiscono contemporaneamente per definire la nostra conoscenza del reale. Tutti sono permanentemente in funzione, ma poiché il flusso di dati proveniente dall’esperienze è in buona parte superfluo per la comprensione della stessa il nostro cervello automaticamente opera una selezione attivando i canali più idonei alla comprensione. Così mentre leggiamo attiviamo maggiormente la vista, mentre ascoltiamo della musica l’udito e così via. Questo non significa che gli altri sensi non siano attivi, semplicemente fanno da sfondo. Ad esempio ora, mentre leggete questo articolo siete concentrati sulla vista, ma contemporaneamente avete delle informazioni che giungono dal vostro tatto, il tocco sul mouse se siete al computer o la sensazione della carta tra le dita se il supporto è cartaceo, oppure la comodità scomodità della sedia, il rumore di sottosfondo che c’è nel posto in cui siete, il sapore della caramella che state succhiando o del caffè che avete bevuto prima. Basterà attirare l’attenzione sugli altri canali sensoriali per esserne consapevoli.
I dati raccolti dai sensi concorrono a formare la rappresentazione interna o mappa del mondo. Le rappresentazioni interne visive, auditive, cinestesiche sono dette in PNL Sistemi Rappresentazionali. Anche se i sensi sono cinque, la PNL distingue tre Sistemi Rappresentazionali: visivo (V), auditivo (A) e cinestesico (K) che coinvolge tatto, gusto e olfatto.
Ognuno di noi nel tempo sviluppa un sistema privilegiato di rappresentazione del mondo, così, pur essendo perfettamente in grado di utilizzare tutti i nostri sensi, già ad 11?13 anni iniziamo ad avere nette preferenze. Quando una persona tende ad usare un sistema rappresentazionale, piuttosto che un altro, in maniera abituale, esso sarà chiamato Sistema Rappresentazionale Primario.
Ad incidere sulla formazione dei sistemi rappresentazionali influiscono l’ambiente di sviluppo, la cultura e la teconologia. Prima della scoperta della stampa e poi dell’alfabetizzazione di massa, la cultura di riferimento era prevalentemente orale, quindi legata all’ascolto e alla memoria. Con il testo scritto si passati al segno grafico trasformando l’occhio nel nuovo polo sensorio, ed ora con la comunicazione multimediale, sommando il segno al suono, torniamo ad una riscoperta dell’oralità con una modalità comunicativa audiovisiva.
Il formarsi di un sistema preferenziale corrisponde ad una migliore utilizzazione in termini di qualità che il sistema stesso impara a sviluppare. Tuttavia questo guadagno avviene a scapito della portata della percezione.
Ecco allora la voglia di viaggiare con i 5 sensi per riscoprire e privilegiare informazioni e sensazioni che il più delle volte trascuriamo. Il viaggio a cui abbiamo pensato è un percorso sensoriale: bendati, limitando il sistema primario più diffuso e attivo, ci tuffiamo, rilassati dalla musica, a toccare diversi oggetti di differenti materiali, ad odorare alcuni profumi e ad assaggiare dolci sapori.
Alla fine insieme scopriamo quante informazione spesso ci perdiamo del reale e quanto la dimensione cinestesica ci metta in relazione con le nostre sensazioni e quindi con la dimensione analogico-emozionale della comunicazione.
Accedere al cinestesico trasforma l’incontro con il reale rendendolo più ricco e carico di significato; riavvicina la mente al corpo e ad i suoi segnali; trasforma la comunicazione in una modalità più emotiva, coinvolgente e motivante; riscopre il piacere della funzionalità di sensi spesso bistrattati; amplificando il contatto con il reale rende l’ascolto più attivo e completo.
Questo viaggio ha stimolato gli altri sistemi rappresentazionali favorendo una maggiore consapevolezza del proprio stile di orientamento-conoscenza del reale e della propria modalità di comunicazione. Uscire dalla dipendenza di un unico sistema evita il rischio di irrigidire le nostre rappresentazioni (qualcuno arriva addirittura a vedere le proprie sensazioni); permette di non perdere informazione che possono essere importanti e che provengono da altri sistemi sensoriali; aiuta a non lasciarsi sfuggire qualche aspetto interiore significativo dell’esperienza.

Angelo Dossena e Manuela Maruca, Consulenti ETLINE e Associati

Seminario su “La Voce”

Se ci fermiamo un attimo e pensiamo con attenzione alla nostre voce potremmo stupirci ancora una volta di quanto ‘mamma Natura’ sia stata generosa.
Una semplice emissione di una parte dell’aria contenuta nei nostri polmoni, attraversando due piccole membrane, crea un suono che, affinato dall’uomo nei millenni, oggi ci permette di comunicare.
Effettivamente sembra paradossale, ma se in mezzo ad una strada ci mettiamo di fronte ad un uomo ed emettiamo nella sua direzione un flusso d’aria che si trasforma in voce magari attraverso le parole “Scusi, sa l’ora per favore?”, questa semplice azione induce addirittura quell’uomo ad un’azione specifica. Un potere enorme questa emissione di aria!
Tutto il linguaggio parlato e cantato, in realtà, utilizza la voce come mezzo di espressione. Da qui la sua importanza per gli esseri umani, che grazie ad essa si differenziano da tutti gli altri animali.
Nel seminario, partendo dall’importanza della voce, ossia da una prima presa di coscienza di questa emissione, abbiamo analizziamo la gestione, l’espressività, la potenza e la portata.
Pochi sanno per esempio il motivo per cui quando siamo agitati la voce ci si rompe in gola. La stessa frase, che diciamo in maniera lineare davanti allo specchio in una stanza da soli, esce con voce rotta o balbuziente davanti ad un pubblico di mille persone o davanti al nostro datore di lavoro. Le corde vocali sono azionate da due piccoli muscoletti che a loro volta ricevono lo stimolo a mettersi in moto dal nostro cervello. Ecco perché l’agitazione, lo stupore, la vergogna e molte altre emozioni che intasano il nostro cervello influiscono anche sulla nostra voce.
Inoltre, una volta scoperto di avere la voce e non una voce, nel seminario siamo partiti per un lungo viaggio alla scoperta del ‘mondo’ voce. Cos’è il timbro e da cosa si differenzia rispetto al tono della voce? Come si respira in maniera corretta e come si emette la voce col diaframma senza rovinare le nostre corde vocali? Come urlare allo stadio o in un teatro o davanti ad una platea qualsiasi senza rimanere la sera senza voce? Attraverso alcuni divertenti esercizi abbiamo dato risposta a queste domande.
In una società dell’immagine come la nostra, non c’è nulla di così sottovalutato come la nostra voce. Ce ne accorgiamo solo dopo che qualcuno ce lo fa notare e questo è un grande peccato perché attraverso una voce ‘educata’ si possono ottenere moltissimi risultati con la metà degli sforzi. E’ sufficiente pensare ad alcune voci delle nostre radio in grado di incantare migliaia di persone solo attraverso quella che apparentemente può sembrare una banale emissione di aria.

Roberto Rasia dal Polo, attore e giornalista genovese, vive a Milano dove conduce un programma in diretta televisiva su Mediolanum Channel (Tele+ in chiaro al 135) e un programma di motori su Radio24-Il Sole 24 ORE (il sabato alle 12).

IL FORMATTORE

Le regole d’oro del perfetto oratore? Le armi vincenti per affrontare il pubblico con successo? I trucchi più efficaci per superare brillantemente la ben nota sindrome del panico da palcoscenico? Bene, a giudicare dal folto pubblico presente al seminario del formattore, tutto ciò parrebbe suscitare un forte interesse… e dunque, si dia inizio allo spettacolo che, a tutti coloro che desiderino migliorare la propria ars oratoria, svelerà i segreti per trasformare una discreta – talvolta temuta – presentazione in pubblico in una grande interpretazione.

Ma perché il formattore? Significa forse che, per prendere la parola durante una riunione, per esporre un progetto, per gestire una giornata d’aula, per intervenire all’interno di una conferenza, insomma, per parlare in pubblico, sia necessario essere degli attori? La riposta spetta ai due animatori della serata che, alla professione di formatori, uniscono una grande passione per il teatro ed una significativa esperienza sulla scena… ma se il “sacro fuoco” li unisce, potrebbe invece dividerli la differente formazione teatrale: lui, un attore tradizionale, lei un’improvvisatrice. Lui crede nel testo scritto, nelle estenuanti prove che precedono lo spettacolo, nella tecnica; lei crede nella fantasia, nella grande sfida di salire sul palco senza aver provato nulla, nell’improvvisazione pura che ogni sera dà vita ad uno spettacolo diverso, che mai nessuno ha visto prima né mai verrà replicato ….

E allora quale risposta verrà fornita agli spettatori del seminario di questa sera, alle persone qui riunite per carpire gli strumenti del mestiere dell’attore e trasformarli in strumenti del proprio mestiere? E’ più importante avere un buon copione o è meglio lasciarsi andare all’estro del momento? Esercitarsi o buttarsi? Provare o creare? Non ai posteri l’ardua sentenza ma ai due formatori; entrambi hanno impostato il proprio intervento seguendo la stessa modalità, ovvero creando un decalogo, le dieci tavole del buon parlare in pubblico, e lo hanno fatto separatamente, un decalogo lui, uno lei… sarà concordia o scontro? Vediamo…

Per dovere di galanteria, parte l’improvvisatrice e non stupisce la prima freccia al suo arco, l’ENERGIA poiché, dove non esiste alcun sostegno da parte del testo, il coinvolgimento emotivo e la voglia di esserci diventano elementi di primaria importanza. Ma ecco che l’attore risponde con la MOTIVAZIONE e, mentre lo dice, la fa sentire, la esprime in ogni suo gesto tanto che, facendo un rapido confronto tra i due, non sembra esistere questa grande differenza! Dunque, il presupposto di partenza è comune, che si chiami energia o motivazione, il concetto non cambia… e poi? E poi, EMPATIA (ah già, il suo percorso si snoda attraverso le 10 E; dunque, almeno un canovaccio lo ha preparato!): l’oratore come l’attore deve amare il suo pubblico, deve essere capace di osservarlo, di comprenderlo, di rispondere alle sue esigenze e alle aspettative, deve utilizzare tutte le sue risorse per diventare un punto di riferimento o, in altre parole, un LEADER come ribatte l’attore!

I due vanno avanti appaiati, utilizzano parole differenti e differenti esempi, ma fino ad ora non c’è nulla da fare per chi avrebbe voluto schierarsi da una parte o dall’altra: quando per lei è EMOZIONE, per lui è ENTUSIASMO (questo è troppo; utilizzano addirittura la stessa iniziale!), e avanti così, ESPRESSIVITA’, ECLETTISMO, ELIMINARE IL SUPERFLUO, ed ESPIRARE (l’efficacia dell’espirazione è sicuramente garantita da un alternarsi di inspirazione, ma solo una delle due iniziava con la E!) trovano piena corrispondenza nei consigli dell’altro formattore che, procedendo nel suo decalogo, non solo ribadisce le stesse norme, ma ne dà prova in diretta con la sua straordinaria capacità di coinvolgere gli spettatori attraverso continue variazioni di tono, ritmo e stile (certo non si può dire che non sia Espressivo!); nel raccontare divertenti aneddoti, eccolo trasformarsi Ecletticamente nei personaggi stessi di cui parla ed è sufficiente un breve esempio, una metafora, talvolta una sola parola perché il pubblico riesca a cogliere il cuore del messaggio, senza tante spiegazioni che spesso risultano del tutto Superflue e rischiano – in mezzo a complicati giri di frasi – di far smarrire il concetto chiave.

Insomma, i due vanno talmente d’accordo, che i presenti hanno ormai perso ogni speranza di assistere ad una bella competizione, ma proprio quando l’esito del seminario sembra definitivamente tracciato, lei sfodera l’arma segreta dell’improvvisatrice, l’ESTEMPORANEITA’, il suo pane quotidiano, la sconfitta del copione in nome della creazione – appunto – estemporanea! E’ fatta: il pubblico trattiene il respiro, osserva la formattrice, osserva il formattore, attende trepidante la sua indignata reazione di interprete del testo scritto ma, con una nuova metafora, lui trae dal cappello il SERBATOIO, la sua risposta all’estemporaneità, un grande, inesauribile contenitore di battute, ricordi, esperienze, citazioni, cose viste e sentite che ogni oratore dovrebbe avere sempre con sé, per potervi attingere al momento giusto, per tirarne fuori – al di là di tutto ciò che aveva programmato in dettaglio nei giorni precedenti – l’immagine che ora diverte, ora coinvolge, ora commuove e convince lo spettatore. Dunque, la preparazione che precede il proprio incontro con il pubblico è la base irrinunciabile del successo (l’ultima E dell’improvvisatrice – e chi se lo aspettava? – è ESERCIZIO), costruire a tavolino la scaletta del proprio intervento, selezionare gli argomenti, cercare spunti interessanti, definire cosa sarà importante comunicare e come lo si potrà comunicare al meglio, ma non basta… il pubblico cambia, il pubblico parla, il pubblico chiede, il pubblico vuole e allora l’oratore deve mettere ogni pianificazione precedente e lasciare via libera all’improvvisazione, per poter cambiare, per poter parlare non in pubblico ma con il pubblico, il suo pubblico, deve rovistare nel suo serbatoio per rispondere a domande che non aveva previsto, e per dare a chi lo ascolta ciò di cui ha bisogno in quel momento perché – ed è questo l’anello più saldo che lega tra loro i due decaloghi – l’oratore, l’attore, l’improvvisatore sono grandi quando vogliono, più di tutto e sopra tutto, ciò che il pubblico vuole.