La passeggiata delle credenze

Come passare da una credenza limitante ad una idea di potenziamento

“La vera illusione è che esista un’unica realtà”
Paul Watzlawick

Ognuno di noi possiede un sistema di credenze con il quale osserva ed agisce nel mondo. Questo insieme di presupposti che ci siamo creati per leggere le realtà circostante è frutto di esperienze dirette e di interpretazioni di eventi accaduti ad altri. A volte le credenze possono mutare e lasciare il posto ad altre più adatte ed utili. Altre volte invece il nostro sistema di idee non è a tal punto elastico da permetterci di mutare certe convinzioni che risultano essere disfunzionali per la nostra esistenza.

Per facilitarci il passaggio da una credenza limitante ad una potenziante, idonea ad amplificare le nostre capacità e possibilità, la PNL ha sviluppato un’agile tecnica, la passeggiata delle credenze, che consiste in un vero e proprio cammino di trapasso dalla vecchia idea disfunzionale alla nuova più utile. La passeggiata si snoda lungo un percorso con tappe e traguardi intermedi che permettono un mutamento graduale.

Lo scopo del seminario è di sperimentare in prima persona la passeggiata delle credenze dopo aver definito la convinzione limitante di partenza e quella potenziante di arrivo.

Dopo aver definito una nuova credenza desiderata e potenziante, si scrive quest’ultima su di un foglio che accompagnerà il soggetto durante la passeggiata; è importante che la forma in cui viene scritta la nuova credenza sia in “divenire”, cioè sia preceduta dalla formula “sto imparando che…”.
A questo punto è possibile iniziare il vero e proprio cammino che consta di varie “caselle” poste in circolo che vengono gradualmente attraversate. Ecco un breve elenco di queste caselle con le relative funzioni nello svolgimento della camminata:

META: questa posizione che ritorna più volte nel percorso serve come punto di osservazione e riflessione;
CREDENZA ATTUALE: è la situazione in cui ci troviamo all’inizio di questo cammino di cambiamento;
APERTO AL DUBBIO: è la posizione in cui si analizzano aspetti positivi e negativi delle varie credenze (ci sono infatti aspetti funzionali anche nelle credenze più disfunzionali);
MUSEO DELLE VECCHIE CREDENZE: è il luogo in cui collochiamo tutte le nostre credenze passate;
CREDENZA DESIDERATA: è la casella in cui si “proclama” la nuova credenza e se ne analizzano opportunità e possibilità concrete;
DISPOSTO A CREDERE: è la fase del percorso in cui si riflette su ciò che si pensava irrealizzabile e invece si è realizzato; inoltre si crea un ponte sul futuro per cominciare a sperimentare le situazioni create dalla nuova credenza;
LUOGO SACRO: è il luogo in cui teniamo custodite le credenze per noi più importanti, quelle che non lasceremmo mai, i nostri valori fondamentali.

Ripercorrendo più volte queste tappe è possibile abbandonare vecchie credenze per lasciare spazio a convinzioni più utili e, a volte, si può giungere ad una vera e propria riesamina del proprio sistema di credenze.

Resta solo da sperimentare questa tecnica…e il seminario è stata l’occasione giusta!!

Gianluca Castelnuovo
Psicologo, Practitioner e Master Practitioner in P.N.L.

Il corpo come risorsa: tecniche di comunicazione non verbale

La parola non è che un disegno sul tessuto dell’azione
K.S. Stanislavskij

La comunicazione. Quando si discute di un argomento così ampio ed articolato si cerca di sfuggire alle generalizzazioni. Non si può fare a meno però di parlare del valore delle parole. La pragmatica della comunicazione sostiene che il 90% del messaggio comunicativo passa tramite il canale comunicativo non verbale.
La nostra maggiore risorsa comunicativa è dunque il nostro corpo che veicola all’interno della comunicazione emozioni e stati d’animo.
Il corpo (soma) e la mente (psiche) agiscono e reagiscono l’uno con l’altro. Nel corpo umano è presente un’energia vitale che si manifesta attraverso fenomeni psichici e movimenti somatici.
Le energie del corpo si possono misurare quantitativamente in base ai movimenti che producono. L’io come fenomeno psichico corrisponde ad una percezione; ciò che si percepisce è sempre un movimento dell’organismo che può manifestarsi o meno come spostamento nello spazio. Dove non c’è movimento non c’è percezione. L’intensità del movimento è in rapporto con la qualità della percezione.
La percezione si verifica quando un movimento interno raggiunge la superficie del corpo e della mente dove è situato il sistema di percezione conscia.
L’io rappresenta i processi psichici di cui siamo consci perché riguardano attività che ci mettono in relazione con il mondo esterno. Un’attività diventa conscia quando urta contro la superficie del corpo, perché solo così può entrare in rapporto con il mondo esterno.
Abbinando modalità respiratorie e movimento si favorirà dunque, tramite l’uso del gesto, il dialogo che potenzierà il nostro impatto comunicativo.
Il corpo rivela tutto (le paure congelate, i bisogni nutriti inadeguatamente, le aspettative e le pressioni esterne, la repressione della spontaneità e della libertà), ed è decisivo per dare coscienza e benessere ai nostri possibili cambiamenti comunicativi. Nelle posture e nel movimento il corpo parla un linguaggio che anticipa e va oltre l’espressione verbale.
L’osservazione e l’apprendimento consapevole delle diverse reazioni
corporee e delle emozioni ad esse collegate possono diventare uno strumento
valido, per rendere più efficace il proprio stile comunicativo.

Simona Colombo
Consulente ETLINE e Associati

I giochi in AT

A che gioco giochiamo!! Come sostituire i comportamenti disfunzionali con risoluzioni positive.
Cosa significa giocare in senso disfunzionale?
Come è possibile arginare o smettere di giocare?
Come è possibile sostituire vecchi automatismi con scelte consapevoli e soprattutto volute?

Per rispondere a queste domande sembrerebbe semplice dire: basta volerlo!!
Ma questo non basta! Per trovare delle risposte riprendiamo la teoria dei giochi in Analisi Transazionale.
Il gioco per Berne consiste in una serie continua di transazioni complementari ulteriori, ripetitive che tendono a un tornaconto prevedibile (solo per gli osservatori esterni) e con un pensiero negativo (su se stessi, altri, o la vita,) inevitabile perché all’inizio c’è stata una svalutazione su di se, dell’ altro o di entrambi. Il finale è quindi una sensazione di malessere da parte di una o più persone interessate a quella relazione. Il gioco è anche definibile come un meccanismo manipolatorio appreso, che inizia da una svalutazione e termina con una conferma degli assunti di base del copione.
Tutti i giochi sono riproposizioni di strategie infantili non più adatte a noi come persone adulte. I giochi sono effettuati da una qualsiasi parte negativa degli Stati dell’IO: Bambino Adattato Negativo, Genitore Normativo Negativo, Genitore Affettivo Negativo.
Le persone tendono a fare un numero limitato di giochi favoriti con le diverse persone con cui entrano in contatto, e con grado di intensità diversa. Più la relazione tra i giocatori sarà stretta più i giochi avranno una intensità maggiore.
Per Berne esistono tre gradi di intensità nei giochi:
I° grado: i giocatori avvertono un senso di disagio: giochi accettati e rinforzati dall’ambito sociale dei giocatori
II° grado: stato d’animo alla fine è decisamente spiacevole e i giocatori fanno in modo che i giochi non vengano scoperti dall’ambito sociale
III° grado: lo stato d’animo finale non solo è spiacevole e grave a livello emotivo, ma anche a livello fisico (coltellata, gravidanza non desiderata…) e possono portare al carcere, all’ospedale e all’obitorio.
Altra divisione è tra giochi leggeri ( in rilassamento) e pesanti (in tensione), e non sono direttamente proporzionali al grado di intensità del gioco.
I motivi che si hanno per fare un gioco psicologico sono i seguenti: soddisfare il bisogno di carezze (anche se negative), rispondere la bisogno primario che deriva dalla fame di carezze che è quello di strutturare il tempo, mantenere la propria posizione esistenziale, portare avanti il copione, continuare ad avere una relazione emotiva quando il ricatto (espressione manipolatoria, a volte inconsapevole, di emozioni, necessità e comportamenti arcaici che servono a mantenere l’altro in una relazione simbiotica) non funziona più, collezionare reazioni emotive che serviranno per giustificare un dato comportamento. Sfuggire l’intimità con l’altro pur mantenendo rapporti emotivamente intensi, rendere l’altro prevedibilmente agganciabile allo stesso gioco.
I vantaggi di giochi sono:
Vantaggi psicologici interni: è l’effetto di omeostasi dell’economia psichica interna che il gioco da, con la conferma delle opinioni del copione nel qui ed ora
Vantaggi psicologici esterni: evitamento di situazioni sociali ansiogene: es responsabilità, l’impegno, l’intimità sessuale
Vantaggi sociali interni: il modo in cui il gioco permette di strutture il tempo nella cornice pseudointima es: “è tutta colpa tua”
Vantaggi sociali esterni: Definisce la frase dei giochi derivati dalla sfera intima, come il tempo è strutturato in situazioni più ampie “se non fosse per lui”
Vantaggi biologici: carezze negative
Vantaggi esistenziali: conferma della posizione esistenziale da cui il gioco parte

Detto tutto questo è importante chiedersi come mai se tutto ciò è fonte di malessere l’esser umano passa così tanto tempo a giocare non cercando di uscire veramente dalle situazioni di empasse?
La risposta ci riporta al bisogno di carezze elemento irrinunciabile dell’essere umano e alla paura di affrontare il cambiamento anche se verso “lo stare meglio”. Le motivazioni che inducono ad opporsi al cambiamento sono molte:

1. perpetuare un sistema di vita e lavoro conosciuto e sperimentato
2. timore che il cambiamento violi valori, tendenze, gusti e abitudini sociali radicati
3. tendenza al conformismo, sia all’individuo sia dei gruppi organizzati
4. fastidio e ansia procurati dal senso di incertezza e di instabilità indotti da un impulso al cambiamento
5. riluttanza ad alterare o mettere in discussione gli equilibri esistenti nel sistema, famigliare, sociale e/o organizzativo
6. convinzione che il cambiamento comporti sempre e comunque una perdita ed un costo
7. paura di non essere adeguato o capace per riuscire ad adattarsi alla nuova situazione e di trovarsi quindi in una difficoltà ancora maggiore

Cosa fare?
“L’unica certezza in tempi di cambiamento è quella che si costruisce dentro di sé”, come dice Carol Kinsey Goman. Per conquistare questa certezza bisogna ricordarsi che continuare ad affrontare gli stessi cammini ci porterà sempre agli stessi paesi ovvero ai “GIOCHI – la sicurezza che così non funzionerà”, mentre sperimentare nuove strade con molta probabilità ci porterà a nuovi approdi ovvero ALL’INTIMITÀ RELAZIONALE – la possibilità che così potrà funzionare”.

Barbara Demi- Analista Transazionale e Partner ETLINE e Associati

L’Architettura aziendale
come la nuova arte per vivere le organizzazioni

Non è un compito semplice, perché le organizzazioni sono vissute, sia da coloro che in esse operano che da coloro che le osservano per studiarle, come un territorio impraticabile e alle volte disconoscente. L’idea di partenza sembra essere quella della Natura- Matrigna del Leopardi, la meta di arrivo, la rievocazione di una Grande-Madre dispensatrice di comprensioni e calore umano. La necessità è quella di pensare l’organizzazione in funzione di ; questo processo recupera il sentimento e la ragione mortificati, oggi, in un sistema organizzativo iper-razionalizzato orientato alla progettazione, alla pianificazione, alla qualità e al profitto ma anche alla rincorsa di sogni di vision e di leadership, di ideali di competenza eccellenti, di proponimenti mondiali, world-wide. Ci siamo ripresi, nel passato recente al lavoro come scoperta e fonte di gratificazione invece, che come lotta e fatica per la sopravvivenza. La mentedopera, brainpower, ha sostituito la manodopera. Nelle aziende non c’è più solo un potenziale umano informe da gestire, ma una effettiva forza ed energia non di uomini e donne che lavorano e fanno anche tante altre cose, forse meno onorate, come il bucato e le code per i pagamenti. Oggi, è più facile, anche nella pubblicità, immaginare il manager efficiente ed elegante con agenda executive e Mont Blanc ma anche con poppate da preparare e riunioni condominiali a cui partecipare. L’umanità si vive nella totalità delle esperienze sociali, professionali e personali recuperando la dimensione sana della sua esistenza. “ L’obiettivo condiviso oggi non è più il profitto ma la qualità della vita e la ricomposizione della vita col lavoro. I principi su cui poggia l’organizzazione post-industriale sono la soggettività, l’antiburocratismo, l’etica, l’estetica, la creatività…” (D. De Masi). Ma il dubbio rimane rispetto alla quotidianità. L’impressione, confermata dai reali di coloro che studiano e lavorano con le organizzazioni è che in questo universo organizzativo l’uomo è sempre più solo. Sembra che tutti i legami sociali si consumino, che tutti i fondamenti relazionali si distruggono con la conseguenza di riportare l’individuo in una sorta di violentissimo stato di natura. Il rapporto con il proprio lavoro, con il suo significato e il suo scopo perde senso e valore. Il risultato è che si finisce per vivere nell’azienda senza credere, perciò si resta fermi. Le frasi che si continuano a ripetere nelle organizzazioni sono: “ L’azienda è di tutti! “, mentre in realtà non è di nessuno; oppure: “ tutti sono importanti, ma nessuno è indispensabile! ”. ”Tutto cade nell’enorme fossa di un impersonale e anonimo movimento autoriflesso dell’economia, dal lavoro dell’ultimo operaio ausiliario fino alla decisione del burocrate nell’ufficio centrale di pianificazione “ (V. Havel). Si è orientati verso la ricerca ossessiva della Via Migliore, One best Way, come imperativo universale che vada bene per tutti e che ponga un argine al senso di inquietudine tipico della nostra epoca: La convinzione comune è credere che esiste un unico modo, l’unico veramente ottimale, per gestire le Risorse Umane. Se così fosse e se trattassimo tutti i soggetti che vivono nelle organizzazioni allo stesso modo commetteremo la stessa assurdità di un oculista che volesse prescrivere a tutti gli stessi occhiali. Ciò rappresenta un ossimoro, una contraddizione. L’intento finale deve essere raggiungere la consapevolezza che non esistono strade giuste o sbagliate, soluzioni bianche o nere, ma che tra il bianco e il nero esistono 256 tonalità di grigio. Quindi, un’anarchia di opzioni che ci può permettere di penetrare e meglio comprendere non solo i soggetti, che nelle organizzazioni operano e vivono ma anche il loro continuo divenire. Non esistono, dunque, soluzioni preconfezionate ma, il bisogno è, oggi, quello di stabilire una nuova arte di vivere le organizzazioni. Analista transazionale ed esperta nella diagnosi organizzativa e nella gestione delle dinamiche aziendali.

Gli automatismi: limiti e risorse

Quante volte usciti da una giornata di lavoro percorrendo la strada, che ci conduce verso casa, ci accorgiamo di assumere gli stessi gesti, le stesse azioni, o di provare le stesse sensazioni? Quante volte ci accorgiamo che mentre, per esempio, stiamo mangiando siamo sempre seduti allo stesso modo, con la stessa espressione in viso oppure con la stessa modalità di pensiero?

Gli automatismi si caratterizzano per il fatto di mettere in evidenza un’esperienza che si ripete su più livelli del nostro essere (pensiero, azione, linguaggio, emozione) accompagnata dalla mancanza d’attenzione cosciente da parte del soggetto. Per esempio, quando stiamo parlando con qualcuno in modo molto animato sarà difficile avere la nostra attenzione su altri stimoli come la sensazione di avere i piedi nelle scarpe, o piuttosto di assumere una particolare espressione nel viso.

E’ fisiologicamente impossibile avere la completa attenzione su tutto ciò che ci accade dentro di noi, o di tutti gli stimoli che provengono dall’ambiente, e di conseguenza il ripetersi di un gesto o di un modo di dire è più che naturale se la nostra attenzione è diretta ad altro.

L’argomento degli automatismi è affrontato a partire dalla mia esperienza come operatrice del Metodo Grinberg, metodo corporeo che utilizza il tocco e il movimento per offrire alla persona degli strumenti che le permettano di mettere maggiore attenzione a come è arrivata a costruire determinati sintomi fisici o attitudini comportamentali che la rendono prigioniera di un medesimo schema.

Determinati gesti, posture, modi di dire sono rivelatori di un nostro modo di essere, possono essere visti una parte come rivelatori di un “luogo” sicuro in cui il soggetto è riconosciuto, dall’altra parte possono essere visti come una prigione che limita all’individuo la sua esperienza. Pensiamo, per esempio, a una persona che culturalmente è definita “timida”, il suo “essere nella timidezza” lo manifesterà in tutto il suo modo d’esprimersi: degli automatismi a livello dei gesti, delle posture nei modi di dire ecc, la “prigione timidezza” non le permetterà di sperimentare altro, non le permetterà di attingere ad altre risorse e capacità, e a lungo andare potrà anche manifestare dei disturbi a livello fisico indicatori del suo stato.

Una persona timida pensa che la tale condizione e qualcosa di definitivo o generalizzabile a più situazioni, e profondamente convinta che la timidezza è identificabile con se stessa, che non potrà fare altro che “subire” tale condizione.
Il mio lavoro come operatrice del Metodo Grinberg consiste proprio nell’offrire alla persone la possibilità di fare l’esperienza che determinati attitudini comportamentali o dei sintomi fisici sono solo degli schemi e “non sono loro”, che la possibilità di cambiare e alla loro portata, in quanto loro sono molto di più degli schemi che possiedono. Esiste una reale possibilità di attingere a nuove risorse, di avere più possibilità di scelta piuttosto che una scelta subita e incastrante, di allargare i limiti della prigione e scoprire nuovi mondi, d’essere spettatore passivo della propria vita o attivo, di “lasciarsi vivere” o vivere.

Francesca Pantò
Operatrice Metodo Grinberg 1° livello.

Il Test dei colori di Luscher

Il test dei colori di Luscher è un test proiettivo introdotto nel 1947 dallo stesso Luscher, psicoterapeuta svizzero. Da allora è stato perfezionato ed applicato a campi di differenti da quello puramente clinico per cui era stato creato.
Il test muove dall’idea che dinanzi ad un colore abbiamo due reazioni, una fisiologica oggettiva ed un’altra psicologia soggettiva. La composizione dei colori è opera di Luscher e non è riproducibile, in quanto questi sono stati miscelati in modo da suscitare una determinata reazione oggettiva. I colori simboleggiano le sfere della vita: affettività, comunicazione, autostima, energia vitale.
Il test consiste in una serie di tavole cromatiche in cui soggetto è invitato a compiere delle scelte: in base alla scelta effettuata ed alla posizione del colore all’interno di un protocollo si evince la personalità di chi vi è sottoposto, il suo equilibrio interiore, il rapporto con sé stesso e con gli altri , la sua modalità d’azione le attitudini e le aspirazioni. Il valore principale di questo test consiste nella peculiarità di ridurre le difese coscienti di cui vi è sottoposto e quindi di riuscire a dare informazioni relative all’inconscio ed a svelare l’area del potenziale e dell’intelligente emotiva. Ed è questo che lo differenzia dagli altri tipi di test le cui risposte sono, spesso , più vicine alla soglia della coscienza.
Il test viene utilizzato principalmente in tre ambiti:
· Aziendale
· Clinico
· educativo
In ambito aziendale è possibile rilevare:
· Il tipo di pensiero (analitico, creativo…)
· L’efficienza lavorativa
· Le attitudini, gli ambiti di interesse e le motivazioni
· L’adattabilità ad un team di lavoro
· I meccanismi profondi determinanti lo stato di equilibrio del soggetto
· Eventuali problematiche che possono ostacolare l’attività lavorativa (depressione, stanchezze…)
· Le alterazioni dei tratti della personalità
Vista la sua validità è utilizzata come test d’accesso dalla Maria Militare e dal Ministero degli Interni.
Il test è di veloce somministrazione e può essere utilizzato anche dai laureati in psicologia, risulta inoltre gradevole per chi vi è sottoposto.
Può essere somministrato in modo rapido o in modo integrale :
· il test rapido esamina quei tratti della personalità coscienti e le eventuali maschere comportamentali
· il test integrale indaga, oltre la parte relativa al test rapido, i meccanismi profondi ed inconsci.
In ambito aziendale è particolare adatto oltre che nella selezione del personale anche nella valutazione del potenziale, in quanto discerne l’area del comportamento cosciente da quello dettato dai meccanismi inconsci. Per gli stessi motivi è un utile strumento anche per quanto riguarda l’orientamento professionale.

Cristina Mencacci
Grafologa professionista e abilitata alla somministrazione del test dei colori di Luscher.